La scuola in Giappone

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1.  
    .
    Avatar


    Group
    Utenti fissi
    Posts
    5,730
    Location
    Land of Eternal Snow

    Status
    Offline
    Il Giappone dispone di un sistema di istruzione moderno. L'anno scolastico inizia ad aprile e finisce a marzo.

    Le scuole non obbligatorie comprendono l’asilo nido (per i bambini che hanno entrambi i genitori lavoratori o un solo genitore) e la scuola materna, la cui durata dipende dalle singole scuole, ma generalmente dura due anni, e la frequentano i bambini dell’età di 5-6 anni.

    A 6 o 7 anni di età le bambine ed i bambini giapponesi entrano nella prima classe della scuola elementare, che prevede sei anni di studio: l'istruzione obbligatoria comprende elementari e medie inferiori (3 anni di studio) cui si aggiungono altri 3 anni non obbligatori di scuola media superiore, formando un sistema di istruzione scolastica del tipo "6-3-3", anche se dal 1999 alcune scuole hanno unito medie inferiori e superiori costituendo sei anni ininterrotti di scuola secondaria.

    Un percorso parallelo è predisposto per gli studenti con disabilità fisiche o psichiche tramite le cosiddette scuole speciali (Special Education Schools), separate da quelle comuni.

    Elementari
    La scuola elementare dura sei anni e prevede l'insegnamento di:

    lingua giapponese
    matematica
    musica
    arte
    educazione fisica
    educazione civica
    attività sul territorio (primo biennio)
    economia domestica (dal 5º anno)
    scienze sociali e scienze naturali (3º anno)

    Medie inferiori
    La scuola media dura tre anni e prevede l'insegnamento di:

    lingua giapponese
    matematica
    musica
    arte
    educazione fisica e igiene
    educazione civica
    economia domestica
    educazione tecnica
    scienze sociali
    scienze naturali
    lingua straniera (normalmente inglese)

    Medie superiori
    Le scuole medie superiori durano tre anni. Per l'indirizzo generico, scelto dalla maggior parte degli studenti, prevede:

    lingua giapponese e giapponese antico
    matematica
    musica
    arte
    educazione fisica e igiene
    economia domestica
    educazione tecnica
    lingua straniera
    informatica (introdotta solo recentemente)
    Una minoranza di studenti sceglie indirizzi specifici alle superiori, tra i quali:

    agricoltura
    industria
    commercio
    marina-pesca
    attività domestica
    assistenza infermieristica
    informatica
    assistenza sociale
    scienze naturali e matematiche
    ginnastica
    musica
    arte
    inglese

    Storia
    Dopo la proibizione imposta dal regime Tokugawa alla lettura di testi stranieri, nel 1720 i manuali tecnici occidentali furono nuovamente permessi con l'intento di colmare il divario tecnologico che separava il Giappone dalle avanzate ed aggressive potenze europee. Di pari passo si diffuse lo studio delle lingue.

    Mentre le scuole feudali formavano tramite un rigoroso confucianesimo le nutrite fila dei samurai, Ishida Baigan elaborava lo shingaku (scienza del cuore), molto simile all'etica protestante cui Max Weber ricondusse lo sviluppo del capitalismo in Europa, che avrebbe contribuito alla modernizzazione del paese.

    Nella metà del XIX secolo in Giappone, prima dell'era Meiji, era alfabetizzata quasi la metà della popolazione maschile ed un decimo di quella femminile, mentre l'istruzione elementare si era diffusa nelle campagne grazie ai templi. A fine secolo il Giappone investiva circa un terzo delle sue uscite in un sistema scolastico ben organizzato che annoverava anche scuole tecniche e professionali.

    Nel 1937 il governo Konoe pubblica il libro di testo Principi fondamentali del sistema nazionale (國體の本義, Kokutai no hongi). L'affermazione della natura divina dell'imperatore ripresa dalla mitologia del Kojiki si accompagna ad un rigido confucianesimo tradizionale frammisto ad un'ideologia xenofoba di superiorità razziale (tan’itsu minzoku, razza pura e incontaminata) ed anticapitalista (esaltazione delle virtù contadine) cara al regime militare populista al potere.

    Dopo la capitolazione, funzionari della polizia del pensiero si riciclano nel Ministero dell'Educazione mantenendo intatto il proprio ultraconservatorismo. Il Supremo Comando delle Potenze Alleate (SCAP) in Giappone porta da cinque a nove anni gli anni di istruzione obbligatoria, censura i libri di testo e riforma i corsi in modo da estirpare le basi dell'indottrinamento del regime deposto.

    Lo SCAP democratizza e decentra il sistema scolastico: ai sei anni di elementari si affianca la scuola media mista (maschi e femmine) e, dopo l'obbligo, un triennio di scuole superiori. Ogni prefettura dovrà avere un'università pubblica e sono permesse (1948) scuole biennali di specializzazione. Per svuotare il ministero dei propri poteri si istituiscono su base provinciale e comunale consigli elettivi con potere decisionale su libri di testo, assunzioni e cariche nelle scuole. Esplode il numero di università pubbliche e private: dalle 70 del periodo prebellico si passa a più di 200 istituti di qualità assai diversificata. Si parte dai prestigiosi atenei di Tokyo (Tōdai) e Kyoto, fucine della classe dirigente, fino ad arrivare a istituti scadenti, spesso licei privati trasformati frettolosamente in università dopo la riforma.

    Se i professori accolgono come cambiamento liberatorio le riforme, il Ministero dell'Educazione costituisce il polo conservatore del sistema di insegnamento, volto al ritorno dei valori tradizionali. Il conservatorismo del ministero è bilanciato dal Sindacato dei Professori Giapponesi (日本教職員組合, Nihon Kyōshokuin Kumiai, Nikkyōso) (1947) di area socialista. Dopo anni di repressione, l'ideologia marxista si diffonde nelle università, tanto che quando nel 1948 lo SCAP consiglierà la rimozione dei professori non graditi gli studenti risponderanno costituendo la Federazione delle associazioni autogestite degli studenti del Giappone (全日本学生自治会総連合, Zen-nihon gakusei jichikai sō rengō) o Zengakuren (全学連, Zengakuren) che guiderà la contestazione studentesca nel paese.

    Il conservatorismo intriso di nazionalismo del Ministero dell'Educazione si ripercosse sulle relazioni con la Corea del Sud quando alla fine degli anni Novanta questi approvò un libro di testo revisionista in cui gli atti di aggressione del Giappone nel paese durante la Seconda Guerra mondiale venivano ridimensionati, minando il processo di riavvicinamento intrapreso nel novembre 1998 dal governo Obuchi che si era ufficialmente scusato per i medesimi fatti in occasione della visita dell'allora presidente sudcoreano Kim Dae Jung.


    Peculiarità
    Una caratteristica importante del sistema scolastico giapponese sono gli esami di ammissione, obbligatori ad ogni grado per entrare negli istituti privati (l’accesso alle scuole pubbliche è aperto, ma il loro livello qualitativo è estremamente basso e i diplomi che vi conseguono non sono spendibili sul mercato del lavoro, per cui la stragrande maggioranza delle famiglie giapponesi cerca di mandare i propri figli alle scuole private). Tali esami, soprattutto quello per l’ammissione all’università, sono estremamente difficili e non possono essere affrontati con una preparazione generica, e per questo la maggior parte degli studenti giapponesi, al termine della giornata scolastica (che inizia alle 08.50 e si prolunga sino alle 16.00), si recano ai corsi di ripetizioni integrative (a pagamento), che solitamente iniziano alle 17.00 e possono durare sino alle 23.30 di sera, quando il doposcuola chiude. In realtà gli studenti possono terminare anche alle 21.00, ma non sono rari i casi di famiglie che obbligano i figli a frequentare sino all’ultimo queste ripetizioni. Questa mole di studio, che ad occhi occidentali appare incredibilmente eccessiva, è giustificata dalla circostanza che ancora oggi il sistema lavorativo giapponese offre posti quasi sicuri ai laureati, e garantisce l’occupazione a vita. Per questo ottenere un diploma con ottimi voti nelle università private del paese costituisce un obiettivo fondamentale che giustifica le ingenti spese e i sacrifici delle famiglie giapponesi per l’educazione dei figli.

    Le scuole giapponesi sono note per il loro rigore, in quanto la severità dell’istituto è considerato come nota di merito e aggiunge valore al diploma conseguito. L’osservanza dei regolamenti scolastici (che cambiano da istituto a istituto) è d’obbligo, e le pene sono molto severe (e spesso fisiche) per i trasgressori. I regolamenti sono estremamente puntigliosi, arrivano a precisare anche i dettagli più insignificanti delle uniformi scolastiche, ma anche in questo caso le infrazioni non sono tollerate. Il rigore con cui gli studenti giapponesi sono allevati inizia sin dall’asilo prosegue per tutta la durata della scuola dell’obbligo, e all’università. Tiziano Terzani ha scritto:

    «L'impressione che si ha degli studenti giapponesi è quella di una massa rigidamente controllata e continuamente sotto pressione. A vederli uscire al mattino dalle stazioni della metropolitana, tutti nelle loro uniformi scure, i più piccoli con la cartella sulle spalle, e mettersi poi rigidamente in fila, sugli attenti nei cortili delle scuole, si pensa più a soldatini che a scolari.»


    Tuttavia, anche all’interno del paese si sono levate molte voci critiche contro un sistema scolastico che tende ad uniformare tutti i giovani, a imporre un modello conformista e a spegnere ogni creatività.


    Prospettiva occidentale
    Questa sezione è solo un abbozzo. Se puoi, contribuisci adesso ad ampliarla.
    La partecipazione a programmi di scambio culturale (es. JET Programme) e la fruizione di opere di finzione ambientate in Giappone hanno aumentato la curiosità occidentale per la vita scolastica in Giappone. Sono oggi disponibili numerosi resoconti dei partecipanti agli scambi culturali verso il Giappone, principalmente assunti come assistenti agli insegnanti di lingua inglese, che trattano da una prospettiva occidentale l'organizzazione interna della scuola giapponese e aiutano a compensare la relativa scarsità di fonti primarie in lingue occidentali a fronte di corposi rapporti statistici invece numerosi e molto dettagliati, stilati dai ministeri anche in lingua inglese.


    Opere di finzione
    La vita scolastica giapponese è anche al centro di numerosi manga cartoni animati giapponesi importati nei paesi occidentali. Può essere poco più che semplice ambientazione oppure affrontare tematiche più complesse (es. Great Teacher Onizuka di Tohru Fujisawa).

    L'elemento di costume forse più riconoscibile della vita scolastica nel fumetto e nell'animazione giapponesi è la divisa scolastica delle scuole medie inferiori e superiori (fuku alla marinara per le studentesse), usata anche come indumento elegante da indossare in occasioni speciali.


    Fonte: Wikipendia

    Più avanti posterò anche articoli di giornale che riguardano la scuola giapponese, e che ho trovato in giro per il web!
     
    .
  2. Fuyu
     
    .

    User deleted


    Che differenze...mammina!!!
     
    .
  3. • M i y u ~ c h a n •
     
    .

    User deleted


    forse è troppo seria come tipo di scuola >_<
     
    .
  4.  
    .
    Avatar


    Group
    Utenti fissi
    Posts
    5,730
    Location
    Land of Eternal Snow

    Status
    Offline
    Questo è un articolo di Tiziano Terzani, tratto dal libro "In Asia" , pubblicato dalla Longanesi, che rende a mio parere molto bene l'immagine del sistema scolastico giapponese. E che il nostro prof di italiano ci ha fatto leggere per un tema.

    L'idea mi venne quando un amico mi regalò un bonsai, un albero nano, e mi disse: "In questo Paese fanno lo stesso con gli esseri umani: a forza di potarli e tagliarli li fanno crescere tutti su misura".


    Tokyo, Febbraio 1990
    Il gran segreto dei giapponesi è nelle loro fabbriche. La radice del loro successo economico è tutta lì, nella precisione, nell'efficienza con cui producono le cose. La fabbrica giapponese di più grande successo è quella che produce i giapponesi stessi: la scuola.

    Ogni anno, dalle automatizzate catene di montaggio del sistema scolastico, escono ventotto milioni di ragazzi e ragazze. Come tutti i prodotti giapponesi, questi giovani sono di ottima qualità e di grande affidamento. Allo stesso tempo però sono standardizzati, senza individualità, come tutte le cose fatte in serie.

    I bambini giapponesi frequentano per nove anni la scuola d'obbligo. Il 94 per cento arriva fino alle scuole medie superiori, il 36 per cento s'iscrive all'università. I risultati di questa fabbrica sono impressionanti. Nonostante le enormi difficoltà della lingua - vanno, per esempio, imparati tre diversi sistemi di scrittura - tutti i giapponesi finiscono per saper leggere e scrivere. A far di conto sono ugualmente bravissimi: nei concorsi internazionali di matematica gli studenti giapponesi si piazzano regolarmente primi. Anche nella musica riescono bene. Fra i partecipanti ammessi al concorso Chopin di Varsavia almeno un quarto è giapponese. Quasi nessuno però riesce a entrare in finale. "È impossibile distinguere l'uno dall'altro", ha spiegato poco tempo fa uno dei giudici. "Suonano tutti allo stesso modo."

    In Giappone, la strada più sicura per avere successo è quella della scuola ed è così che ogni giapponese, fin da piccolissimo, viene messo sotto torchio perché studi. Un terzo dei giapponesi viene costretto dalle famiglie ad andare a scuola all'età di tre anni, la metà a cinque. "A vent'anni un giapponese è disciplinato, docile e rispettoso dell'autorità", dice lo scrittore Shuichi Kato. "La scuola è efficientissima: riesce a trasformare piccoli esseri umani in tante foche ammaestrate."

    Secondo alcuni esperti questo sistema scolastico, che sforna a getto continuo giapponesi diligenti e non ribelli, sarebbe alla base della stabilità del Paese; il "miracolo economico" del dopoguerra avrebbe le sue radici nel "miracolo dell'educazione". Secondo altri, invece, il tallone d'Achille del colosso Giappone sarebbe proprio in questo tipo di scuola che alleva gente incapace di affrontare i problemi del futuro. "Se non la finiamo al più presto con questa produzione in massa di robot di seconda categoria, il Giappone nel prossimo secolo si sfascerà", mi dice Naohiro Amaya, ex vice ministro del MITI, il ministero per il Commercio Internazionale e l'Industria, e oggi uno dei dirigenti del colosso pubblicitario Dentsu. "Abbiamo sempre più bisogno di giovani creativi, dotati di fantasia, ma le nostre scuole continuano a darci esattamente il contrario."

    Sebbene nel Giappone stesso gli svantaggi dell'attuale sistema scolastico vengano discussi e suscitino crescenti preoccupazioni, molti stranieri continuano a stravedere per questo sistema e alcuni propongono persino d'importarne certi aspetti nei nostri Paesi. Un recente studio americano, per esempio, definisce la scuola giapponese "altamente efficace e democratica". "La considerano democratica perché a ogni bambino viene propinato lo stesso tipo di educazione. In realtà questa forma di egualitarismo è una nuova forma di totalitarismo", sostiene Steven Platzer, un pedagogo dell'università di Chicago, ora all'università di Tokyo.

    L'impressione che si ha degli studenti giapponesi è quella di una massa rigidamente controllata e continuamente sotto pressione. A vederli uscire al mattino dalle stazioni della metropolitana, tutti nelle loro uniformi scure, i più piccoli con la cartella sulle spalle, e mettersi poi rigidamente in fila, sugli attenti nei cortili delle scuole, si pensa più a soldatini che a scolari.

    Ogni scuola ha la sua uniforme. Tutte derivano dallo stesso modello prussiano che il Giappone adottò nel secolo scorso, quando improvvisamente il Paese, per modernizzarsi, decise di copiare tutto quel che poteva dall'Occidente: una gonna blu scura a pieghe con camicia alla marinara per le ragazze; pantaloni neri con giacca abbottonata fino al collo per i maschi. I berretti son quelli che erano di moda nella Germania di Bismarck.

    Ogni scuola ha i suoi regolamenti. L'osservanza è d'obbligo. Ogni dettaglio è precisato: dalla lunghezza delle gonne alla misura delle cartelle, al colore dei calzini. I maschi devono portare i capelli a spazzola e nasconderli nel berretto; le femmine non possono né tingerseli né farsi la permanente. Se una ragazza ha riccioli naturali o i suoi capelli sono di una tonalità diversa da quella corvina della maggioranza dei giapponesi, è necessario che abbia sempre con sé un apposito certificato per spiegare la sua "anormalità". Una scuola, per esempio, ha stabilito che le scarpe da ginnastica degli studenti devono avere dodici buchi per le stringhe, un'altra che le ragazze possono portare solo mutandine bianche. La madre di un ragazzo di Tokyo, che durante una gita scolastica a Nara, a 370 chilometri dalla capitale, era stato scoperto con un paio di pantaloni un po' più stretti di quanto stabilito, ha dovuto raggiungerlo al più presto per portargliene un paio di taglio regolamentare e impedire così che venisse punito.

    I modi con cui gli studenti pagano per i loro atti d'indisciplina variano da scuola a scuola, ma spesso le punizioni sono fisiche, comportano una qualche forma di violenza. Il caso di un professore che è andato a casa di una sua allieva per suggerirle di suicidarsi con un coltello da cucina, dopo che era stata scoperta a fumare, è certo eccezionale, ma i giornali riferiscono in continuazione episodi di violenza che avvengono nelle scuole. Secondo una recente inchiesta del ministero della Pubblica Istruzione, uno studente su tre nelle scuole medie ha subito una qualche punizione fisica. Di questi il 70 per cento ha riportato ferite. Un professore di liceo ha scritto indignato al quotidiano Asahi per raccontare di aver visto nella sua scuola "ragazzi cui è stata rapata la testa, altri presi a schiaffi o rinchiusi di forza negli armadietti degli spogliatoi".

    Almeno cinque ragazzi negli ultimi due anni sono morti in seguito alle violenze subite a scuola, ma nonostante le proteste di alcuni genitori, l'uso di punizioni fisiche, di per sé illegale, viene generalmente accettato. "I genitori sono stati a loro volta picchiati quand'erano ragazzi e pensano che un maestro che picchia sia seriamente impegnato nel suo lavoro", spiega Kenichi Nagai, fondatore di un gruppo civico per la protezione dei diritti dell'infanzia.

    In Giappone il conformismo è considerato una grande virtù e la pressione a sottomettersi, a non disturbare "l'armonia sociale" con atteggiamenti individualistici comincia prestissimo.

    "Le affido mio figlio perché ne faccia un buon membro della società, uno che non dia noia agli altri", è la formula più comune usata dalle madri giapponesi quando portano per la prima volta i loro bambini all'asilo.

    È all'asilo che il "montaggio" di un buon giapponese comincia. Fermo, con le mani sulle ginocchia unite, la schiena dritta, il piccolo giapponese si abitua a occupare poco spazio e a controllare i propri movimenti. Subito impara a rispettare i regolamenti. Molti asili non solo esigono che tutti i bambini si portino la stessa merenda, ma impongono anche che sia sistemata secondo un modello preciso nell'apposito contenitore e che i bambini la mangino in una precisa sequenza.

    A scuola il bambino non viene abituato a pensare con la propria testa, ma addestrato a dire la cosa giusta al momento giusto. Per ogni domanda esiste una risposta e quella va imparata a memoria. "Che cosa succede quando la neve si scioglie?" chiede la maestra, e la classe, in coro, deve rispondere: "Diventa acqua!" Se a uno viene da dire: "Arriva la primavera!" è redarguito. Con quello sfoggio di fantasia si è messo fuori del gruppo e questo è mal visto. "Il chiodo che sporge, va preso a martellate", dice un vecchio proverbio giapponese. E un principio ancora validissimo. Chi esce dai ranghi, chi la pensa a modo suo, chi crede di poter fare da sé, è un "indesiderabile". L'essere semplicemente "diverso" dal gruppo è una colpa, l'essere escluso dal gruppo è la peggiore punizione. Pochi mesi fa, un quattordicenne di Shimabara si è tolto la vita perché, a causa di una piccola infrazione ai regolamenti della scuola, temeva di essere escluso dalla squadra di baseball.

    Il contenuto stesso dell'educazione non lascia alcuna scelta all'individuo. Il ministero della Pubblica Istruzione decide quel che deve essere insegnato. I libri di testo passano una severissima censura e lo studente giapponese, che può leggersi a volontà i fumetti sadomasochisti che inondano il mercato, non riuscirà a trovare, fra i libri che gli passano per le mani a scuola, uno che gli dia una versione obiettiva, per esempio, della seconda guerra mondiale, uno che usi la parola "invasione" per l'avanzata giapponese in Cina e nel Sud-Est asiatico, uno che parli delle atrocità commesse dall'esercito imperiale giapponese in quei Paesi. Generazione dopo generazione crescono così senza avere la minima idea della recente storia del loro Paese e delle relazioni che questo ha avuto con il resto dell'Asia, dove il Giappone è ancora visto con notevole sospetto. "Fintanto che i cittadini non insisteranno sul loro diritto all'informazione, il Giappone non sarà una società realmente democratica", dice il professor Teruhisa Horio, decano della facoltà di Pedagogia all'università di Tokyo e uno dei più duri critici del sistema scolastico di questo Paese. "Per ora è lo Stato a decidere che cosa i cittadini devono pensare."

    E lo Stato sembra avere un'idea molto chiara di come i cittadini devono essere e del "giapponese modello" che la scuola deve produrre. Il "modello" è stato descritto con grande precisione in un libretto di 54 pagine, dalla copertina gialla, che ogni preside tiene oggi nel proprio cassetto. E intitolato L 'immagine del giapponese desiderato. Pubblicato dal ministero della Pubblica Istruzione nel 1964, il libretto definisce la funzione e gli obiettivi del sistema scolastico. "Per il futuro benessere dello Stato e della società, il Giappone ha bisogno di un nuovo tipo d'uomo", si legge nel libretto. "Un uomo che abbia coscienza della propria unicità di giapponese, un uomo che trovi soddisfazione nella completa dedizione al lavoro."

    L'idea fu brillante. Erano gli anni in cui il Giappone, ancora povero, era scosso da violenti conflitti sociali, in cui la sinistra aveva ancora abbastanza forza da contestare ai conservatori il diritto di governare e in cui la grande industria giapponese progettava il suo grande balzo in avanti per catapultare il Paese, come si diceva allora, "nell'era della massima crescita economica". Si trattava di far dimenticare alla gente la politica, di mettere dinanzi al naso di ognuno la carota del benessere. Si trattava soprattutto di popolare le fabbriche, i cantieri, gli uffici del Paese con dei giapponesi che fossero da un lato ben preparati, dall'altro leali e obbedienti. Alla scuola fu affidato l'importantissimo compito di produrre questo tipo di cittadini che il professor Horio chiama "gli schiavi dell'industria".

    Quel compito non è mai stato ridefinito e L’immagine del giapponese desiderato, nel frattempo alla sua ventesima edizione, è ancora una sorta di Bibbia per gli educatori di qui.


    Direi proprio che si commenta da solo...O___________________O
     
    .
  5. Fuyu
     
    .

    User deleted


    Già... >.<
    E poi...avevo letto in precedenza che i bambini hanno una fascia che portano con loro in segno che sono bravi e sempre presenti...
    e se anche u giorno stanno male e mancano un giorno, quella gli viene subito tolta!!! >.<
    Poverini...
     
    .
  6.  
    .
    Avatar


    Group
    Utenti fissi
    Posts
    5,730
    Location
    Land of Eternal Snow

    Status
    Offline
    Si, lo sapevo anche io...l'hachimaki dei kamikaze! O_____O
     
    .
  7. rayheart
     
    .

    User deleted


    Trovo che sia inquietante!!! :kitty@: Soprattutto per me, cresciuta in un istituto d'arte, dove saltavano intere lezioni per fare a palle di neve con i prof, dove era strano vedere dei capelli naturali...
    Non credo che sopravviverei 10 minuti in una scuola giapponese!!! :@@@:

    Comunque grazie per questi articoli...li farò leggere a mio fratello, che questo quadrimestre aveva 8 insufficenze su 11 materie in pagella...chissà se una piccola minaccia non lo faccia riflettere! :fl_a:
     
    .
  8.  
    .
    Avatar

    Senior Member

    Group
    Admin
    Posts
    21,333
    Location
    Ásgarðr

    Status
    Anonymous
    Omg....quanto hai scritto! *_*
    Lo leggerò quando ho qualche minuto.. ^^
    Comunque grazie 1000 per le info! ^^
     
    .
  9.  
    .
    Avatar


    Group
    Utenti fissi
    Posts
    5,730
    Location
    Land of Eternal Snow

    Status
    Offline
    Di nulla figurati...è che il Giappone mi piace così tanto che cerco di trovare info su qualunque suo aspetto! Anche quelli più "oscuri" e di difficile comprensione per la mentalità occidentale, come proprio il sistema scolastico!
     
    .
  10.  
    .
    Avatar

    Senior Member

    Group
    Moderatori
    Posts
    12,475

    Status
    Anonymous
    CaspitaO_o.....non pensavo che la situazione fosse così negativa.Cioè conoscevo già alcuni aspetti ma non tutti...l'articolo è utile
     
    .
  11.  
    .
    Avatar


    Group
    Utenti fissi
    Posts
    5,730
    Location
    Land of Eternal Snow

    Status
    Offline
    Ho trovato anche questo articolo, che parla di un fenomeno abbastanza grave che ha a che vedere con la scuola (roba da accapponare la pelle....):

    DA UN PAIO DI ANNI A QUESTA PARTE, IN GIAPPONE, SI SENTE USARE sempre di più il termine "Hikikomori".
    La parola indica un fenomeno sociale emergente per il quale un considerevole numero di giovani, per problemi di carattere psicologico, non riesce più a vivere nella società: si rinchiudono nella propria stanza rimanendo isolati e rifiutando qualsiasi contatto diretto con il mondo esterno, per anni. Oggi si dice che ce ne siano almeno mezzo milione in tutto il paese.
    Vittime di questo triste fenomeno sono principalmente gli adolescenti. Di solito si comincia così: prese in giro e maltrattamenti insistenti e duraturi da parte dei compagni di scuola fanno sì che sia sempre più difficile andare a scuola, ed i genitori, non capendo la gravità della situazione, considerano le assenza da scuola dei loro figli come segno di pigrizia e conseguentemente tendono a rimproverarli; in questo modo lo stress si accumula sempre di più ed unica difesa è smettere di comunicare con tutti (incluso i familiari), chiudersi a chiave nella propria stanza per essere lasciati da soli e sentirsi 'protetti'.
    In un caso descritto nella rivista settimanale Aera, per esempio, alla mattina del primo giorno di scuola (media) dopo la vancanza estiva i genitori di un ragazzo l'hanno trovato nel letto inerte. Esaurito dai maltrattamenti a scuola che lo tormentavano da molto tempo, non aveva più la forza di alzarsi; il suo sguardo vagava nel vuoto. I suoi ricordano: "Quando abbiamo visto il viso di nostro figlio, abbiamo intuito che stava guardando 'la morte'. Questo ci ha fatto rimanere agghiacciati. Stava rifiutando non solo noi ma anche di mangiare e vivere..." Con un enorme sforzo dei genitori, tre mesi dopo il ragazzo è riuscito ad alzarsi dal letto, ma ora, tre anni passati da quel giorno di settembre, il ragazzo rimane ancora nella sua stanza per la maggior parte del tempo. Ultimamente ha cominciato a recarsi alle librerie vicino casa due volte al mese. Una volta ha raccontato a suo padre che lo accompagna sempre, che c'è una libreria che non gli piace particolarmente, perchè non sopporta l'odore che c'è dentro. L'odore della candeggina che forse - pensa il padre - vagamente gli fa ricordare del maltrattamento successogli in piscina durante la lezione di nuoto. I genitori auspicano, coumnque, che loro figlio riesca a raccontare pian piano i suoi pensieri.
    Hikikomori è diventato un problema sociale così grande che anche il regista cinematografico Katsumi Sakaguchi ha girato un film l'estate scorsa. Il suo film si chiama "Aoi Tou" (La Torre Blu) e dipinge il percorso travagliato spirituale del protagonista dicianovenne fino al suo risveglio. Il colore blu suggerisce quel colore del mare profondo estraneo al mondo di superficie, e simboleggia anche il "blu" della depressione, l'immaturità e la solitudine della gioventù. Per rendere il film più autentico possibile, Sakaguchi ha scelto degli attori non professionisti, un ragazzo che ha vissuto realmente l'esperienza di Hikikomori, e una signora che ne ha avuto ugualmente esperienza diretta come madre, con suo figlio rinchiuso nella sua stanza. Ricordandosi del tempo duro e claustrofobico, Yusuke Nakamura (l'attore protagonista) confessa che anche se si era rinchiuso dentro la propria stanza, non si sentiva affatto in pace; non pensava altro che alla scuola... mentre lui stava a casa senza far niente, tutti gli altri studiavano e andavano avanti... Questo pensiero lo rendeva inquieto ma se fosse tornato a scuola ogni minima cosa lo avrebbe preoccupato e non sarebbe riuscito neanche a concentrarsi sulle conversazioni con gli altri.
    Il protagonista del film scrive nel suo diario: "rinchiudermi a chiave nella mia stanza, nella quale l'angoscia, l'impazienza e l'autocoscienza si intrecciano, è un mio autoritratto blu. Sono io stesso che sto crollando, pur continuando a vivere...".
    In mezzo al dilemma tra il cuore straziato e la propria dignità, questi ragazzi cercano disperatamente una via di uscita.



    Fonte: StradaNove

    E il bello è che stavo cercando articoli un po' più "positivi" sulla scuola giapponese, ma mi sa che sarà un'ardua impresa...O____O
     
    .
  12. Aira
     
    .

    User deleted


    poverini..!
     
    .
  13. Charles Drake
     
    .

    User deleted


    mamma mia, certo che in giappone non pare ma ci sono veramente ragazzi terribili, io ho rischiato brutto di arrivare ad un punto di non ritorno qualche anno fa, fortuna che è passato tutto, ma forse è proprio per questo che riesco a capire queste povere vittime di bullismo e maltrattamenti
     
    .
  14. Gabriel the Revenger
     
    .

    User deleted


    Certo che la scuola giapponese ne ha di problemi... anche se pochi sono sempre problemi belli grandi... mi sa tanto però che siua una scuola adatta a me...XD
     
    .
  15. rayheart
     
    .

    User deleted


    CITAZIONE (Charles Drake @ 9/4/2007, 21:40)
    mamma mia, certo che in giappone non pare ma ci sono veramente ragazzi terribili, io ho rischiato brutto di arrivare ad un punto di non ritorno qualche anno fa, fortuna che è passato tutto, ma forse è proprio per questo che riesco a capire queste povere vittime di bullismo e maltrattamenti

    Anche a me è successo...ero ancora alle medie, e odiavo talmente tanto la scuola che ogni mattina scoppiavo a piangere dall'ansia! E` andata avanti così per tre mesi, perchè le mie compagne di classe mi prendevano di mira per le loro battutine e mi isolavano...
     
    .
79 replies since 6/4/2007, 11:27   2156 views
  Share  
.