Tokyo contro tutti nella guerra fredda che riscalda i mari

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    Articolo apparso su "Il Venerdì di Repubblica" n. 1277 del 7 settembre 2012:


    TOKYO CONTRO TUTTI NELLA GUERRA FREDDA CHE RISCALDA I MARI
    Mini invasioni, ultimatum e anche scontri. Per ribadire la sua sovranità su tre arcipelaghi, il Giappone si ritrova in pessimi rapporti con Mosca, Seul e Pechino. Per il premier Noda, uno tsunami politico. Che potrebbe anche travolgerlo.
    Di SILVIO PIERSANTI

    TOKYO. Il turbinio di mini invasioni e contro invasioni patriottiche, sventolio di bandiere, blocchi navali, richiami di ambasciatori, dichiarazioni bellicose, bandiere incendiate, il Giappone si trova nel mezzo di un aspro conflitto diplomatico (e non solo diplomatico) su almeno tre fronti: Cina, Russia e Corea del Sud.
    La ragione del contendere è la sovranità su tre arcipelaghi ritenuti importanti sia per le loro posizioni strategiche, sia per le promettenti riserve di preziosi minerali e gas nel sottosuolo marino.

    Le isole contese sono le Senkaku 尖閣諸島 (Daiyou 釣魚島 per i cinesi), rivendicate da Pechino; le Takeshima 竹島 (Dokdo 독도 per i sudcoreani), pretese da Tōkyō; le Kurilskie Ostrova per i russi (Chishima Rettō 千島列島 per i giapponesi, Curili per il resto del mondo), oggetto di un lungo braccio di ferro tra Mosca e Tōkyō.

    Le cinque isole Senkaku sono disabitate e si trovano nel Mar Cinese Orientale, a duecento miglia da Okinawa, alla stessa distanza dalla costa cinese e a 120 miglia da Taiwan (che ambisce anch'essa alla sovranità sull'arcipelago). Dal 1500 al 1895 hanno fatto parte dell'impero cinese. In seguito alla sconfitta nella guerra contro il Giappone, dal 1895 passarono sotto la sovranità nipponica.
    Il 15 agosto scorso (67° anniversario della resa incondizionata del Giappone nella Seconda Guerra Mondiale), quattordici nazionalisti cinesi di Hong Kong sono sbarcati sulla maggiore delle isole Senkaku. Immediatamente bloccati dalla guardia costiera giapponese, dopo un'iniziale minaccia di detenzione come prigionieri di guerra, sono stati rispediti in patria dove già si inneggiava agli «eroi di Hong Kong», tra violente dimostrazioni davanti all'ambasciata e ai consolati giapponesi delle maggiori città cinesi.
    Pochi giorni dopo è stato il turno di 150 accesi «patrioti» giapponesi a sbarcare sulle stesse isole da una mini flottiglia di venti imbarcazioni, tutto un garrire di bandiere hinomaru con il sole rosso in campo bianco, e slogan come «Queste isole sono giapponesi», «Difendiamo il futuro del Giappone», gridati a squarciagola attraverso potenti megafoni, nel più puro e duro stile della destra estrema nipponica.
    Tra i liberatori più scalmanati si notavano una dozzina di deputati del gruppo Ganbare Nippon (Non mollare Giappone!), una delle formazioni politiche di destra che spingono per una modifica dell'art. 9 della Costituzione, che esclude il ricorso alla guerra.
    Apparentemente dimentichi dei tre milioni di giapponesi morti nell'ultima guerra e dei venti milioni di persone uccise dall'esercito giapponese nelle campagne di espansione asiatica sfociate nell'ultimo conflitto mondiale, la destra giapponese di batte, con buone possibilità politiche alle prossime elezioni, per ottenere una modifica costituzionale che autorizzi la guerra per difendersi da potenziali nemici esterni. Chiedono inoltre il diritto di ricostituire un vero esercito (attualmente quello giapponese – il quinto più potente al mondo – è denominato Forze di Autodifesa, Jieitai 自衛隊), libero di possedere anche armamenti atomici da usare senza attendere il beneplacito di Washington.

    Appena pochi giorni prima della grana nippo-cinese, era scoppiata quella non meno aspra con la Corea del Sud. Il primo ministro di quel Paese, Lee Myung Bak, è sbarcato in visita ufficiale su una delle isole Takeshima/ Dokdo, sotto l'amministrazione sudcoreana dal 1952, anno in cui il governo di Seul decise unilateralmente di inglobare il microscopico arcipelago disabitato, costruendovi un faro e installandovi una piccola guarnigione di guardia costiera. Si tratta in realtà di poco più di due spuntoni di roccia (0,186 chilometri quadrati) in mezzo al tratto di mare che separa il Giappone dalla Corea del Sud. Davanti al fatto compiuto, il Giappone risponde con una documentazione di sovranità nipponica che risale al 512 d. C. Ma alle vecchie pergamene Seul risponde con il pugno di ferro come nel 1953, quando in uno scontro a fuoco tra le guardie costiere dei due Paesi affondò un mezzo navale giapponese uccidendo i sedici marinai a bordo.
    La visita di Lee, preannunciata e portata a termine con grande dispiego mediatico nonostante le accalorate richieste diplomatiche giapponesi di cancellarla, è stato visto come un umiliante sberleffo alla pretesa sovranità di Tōkyō, «un atto estremamente deplorevole, che richiede una dura reazione», nelle parole di Noda. «Seul deve ben ponderare le sue azioni ed usare la massima prudenza, senza mai dimenticare che noi continuiamo a considerare la presenza nelle isole Takeshima un'occupazione illegale» aggiunge con inusitata durezza il primo ministro giapponese. Quasi una minaccia di intervento armato. Una minaccia che deve aver influito sulla decisione di Lee di accettare, dopo estenuanti tergiversazioni, la proposta di Noda di portare la contesa davanti alla Corte internazionale di Giustizia dell'Aia.
    Intanto, come prima immediata ritorsione allo sbarco di Lee, Tōkyō ha sospeso i massicci acquisti di buoni del tesoro sudcoreani perché «la tensione tra i due Paesi è andata oltre il livello che permetteva di considerare separatamente politica ed economia», ha dichiarato il ministro delle Finanze giapponese Jun Azumi.

    Annunciare la visita su un territorio conteso, farsi supplicare di annullarla e infine realizzarla davanti a dozzine di cameramen è un aggressivo format di politica estera già subìto diverse volte dal Giappone. Nel luglio scorso, il primo ministro russo Dmitrij Medvedev è atterrato in visita ufficiale sulla maggiore delle isole Curili, beffandosi dell'intenso lavoro diplomatico di Tōkyō per evitare un'iniziativa ritenuta «pericolosamente provocatoria». Già nel 2010, quando era presidente, Medvedev aveva visitato le isole e a nulla erano valse le proteste di Tōkyō. La contesa sovranità delle Curili è infatti la ragione per cui Giappone e Russia non hanno mai firmato un trattato di pace dopo la Seconda guerra mondiale.
    L'arcipelago si estende tra l'Oceano Pacifico settentrionale e il mare di Okhotsk, con una superficie di 10.355 chilometri quadrati, su cui vivono – in dure condizioni per terremoti, tsunami e gelidi inverni siberiani – circa 19 mila abitanti.
    Nel 1857 il Giappone ottenne dalla Russia l'intero arcipelago in cambio dell'isola di Sakhalin. Ma dopo l'ultimo conflitto mondiale, la Russia ha ripreso possesso delle isole, come una sorta di bottino di guerra, semplicemente ignorando le proteste del Giappone. Attualmente Tōkyō richiede la sovranità delle sole quattro isole meridionali, più vicine alla propria costa, ma sono quelle più incedibili dai russi. E' proprio in quelle isole, infatti, che hanno realizzato basi navali e aree e bacini per sottomarini nucleari. A dimostrare quanto i russi ritengano quelle isole importanti, basti ricordare che nel 1983 un aereo di linea sudcoreano con 268 persone a bordo finì per errore nello spazio aereo sopra le Curili e l'aviazione sovietica non esitò ad abbatterlo, sospettando che fosse un aereo spia americano «truccato» da aereo di linea. Non ci furono superstiti.
    Mentre Usa e Cina si apprestano a farla da padroni nel Pacifico, il valore strategico delle Curili è sempre più alto e Mosca non ha alcuna intenzione di ammorbidire la propria linea.

    Il primo ministro Noda può ben dire di essere in un mare di guai. La sua politica estera è considerata balbettante (non meno di quella interna) e anche Washington lo ha sollecitato ad avere maggior polso nelle diatribe con gli irrequieti vicini di casa, promettendo un rafforzamento di tutto il sistema missilistico di difesa asiatico.
    Per Noda si avvicina il momento di gettare la spugna. Nuovi partiti (verdi e neri) si apprestano a incassare molti voti da parte dei delusi dal Partito democratico da cui, come topi che saltano dalla barca che affonda, se ne stanno andando molti deputati in cerca di un leader e di un partito più affidabili, anche a costo di cambiare colore.

    SILVIO PIERSANTI.

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    Riproduzione riservata


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    Alcune immagini dei territori contesi dal Giappone alle potenze vicine:
    Isole Senkaku
    senkakus

    Isole Takeshima
    takeshima2

    Isole Curili
    image003



    La questione delle dispute territoriali del Giappone l'ho studiata anch'io, a Relazioni Internazionali. Di seguito un breve riassunto estrapolato dai miei appunti.

    Le isole Takeshima, attualmente occupate dalla Corea del Sud, sono richieste dal Giappone per motivi storici, ma soprattutto per la posizione strategica e perché consentirebbero un ampliamento delle aree marittime in cui poter pescare.

    Le isole Senkaku, detenute dal Giappone, sono contese per la posizione geografica, per la presenza di giacimenti di petrolio e gas scoperti in quell'area, e perchè si tratta di una zona strategica dal punto di vista dei traffici commerciali.

    Le isole Curili, sotto dominio russo, sono rivendicate dal Giappone in quanto considerate parte integrante del proprio territorio nazionale. Ma il Giappone non le chiede tutte, ma solo le 4 isole più a sud (Etorufo, Kunashiri, Shikotan, e Habomai), vicine a Hokkaidō, e non ritiene legittima l'occupazione russa.
    Infatti già nel trattato di Shimoda del 1855 stabiliva che esse appartenessero al Giappone, e nel successivo Trattato di San Pietroburgo del 1875 il Giappone ottenne tutte e 18 le isole Curili cedendo in cambio alla Russia l'isola di Sakhalin.
    Tuttavia durante la Seconda Guerra Mondiale, l'Armata Rossa occupò le isole nonostante il conflitto nell'area del Pacifico fosse già cessato e il Giappone si fosse arreso formalmente. A seguito dell'invasione tutti gli abitanti giapponesi residenti in quelle isole furono espulsi.
    A complicare le trattative, è stato senza dubbio il Trattato di San Francisco del 1951, dove il Giappone rinunciava a tutti i territori occupati durante il secondo conflitto mondiale, e in cambio gli veniva riconosciuta la sovranità per le 4 isole principali (Hokkaidō, Honshū, Shikoku e Kyūshū), e "ad una serie di isole minori" senza ulteriori specificazioni. Tale ambiguità nella definizione di quali isole appartenessero al Giappone ha originato una serie di divergenze interpretative, a causa delle quali sussistono le contese territoriali attuali.
    Negli anni seguenti tra Russia e Giappone ci sono stati diversi tentativi di aprire canali diplomatici e trovare una soluzione alla questione, con momenti di apertura specie dopo il crollo del Muro di Berlino e la fine della Guerra Fredda, ma ad oggi ancora non vi si è riusciti, nè è stato siglato un trattato di pace ufficiale tra i due Paesi.

    Per chi volesse ulteriormente approfondire le dispute territoriali del Giappone, ho trovato un po' di link utili:
    - Politica estera del Giappone - Isole Senkaku;
    - Politica estera del Giappone - Posizione del Giappone sulle isole Takeshima;
    - Politica estera del Giappone - Panoramica sulla questione dei territori settentrionali;
    - Disputa delle Isole Curili
     
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    Grande Yuki! Stavo radunando il materiale appropriato, ma mi hai battuto sul tempo! XD

    L'articolo di apertura... mamma mia XD

    CITAZIONE
    Apparentemente dimentichi dei tre milioni di giapponesi morti nell'ultima guerra e dei venti milioni di persone uccise dall'esercito giapponese nelle campagne di espansione asiatica sfociate nell'ultimo conflitto mondiale, la destra giappon
    ese di batte, con buone possibilità politiche alle prossime elezioni, per ottenere una modifica costituzionale che autorizzi la guerra per difendersi da potenziali nemici esterni. Chiedono inoltre il diritto di ricostituire un vero esercito (attualmente quello giapponese – il quinto più potente al mondo – è denominato Forze di Autodifesa, Jieitai 自衛隊), libero di possedere anche armamenti atomici da usare senza attendere il beneplacito di Washington.

    Paragrafi come questo squalificano completamente ogni affermazione corretta espressa, più che altro perché è solo una sequela impressionante di inutili perbenismi che c'entrano poco o nulla, giusto per far vedere ai lettori, in maggioranza altrettanto perbenisti, che anche lui è pacifisssssssssssta e condanna gli errori del passato.
    Inoltre non si trattiene dal giudicare moralmente una posizione geopolitica come un'altra, che a suo dire sarebbe squalificata dal fatto che nella seconda guerra mondiale l'esercito giapponese ha ucciso delle persone, come se gli altri eserciti (ah, ma sono "liberatori") non avessero fatto cose simili.
    Insomma, sciocchezze.
    Poi in chiosa non si è nemmeno fatto mancare l'allusione al fascismo (che in Giappone l'unica volta che è comparso è stato brutalmente represso, vedi il tentato colpo di stato di Ikki Kita del 1936) per fare scattare l'allarme democratico.
    Inoltre, e questo è un vulnus purtroppo diffuso in una marea di sedicenti (IN)esperti geopolitici, ha il bruttissimo vizio di approcciarsi alle questioni asiatico-orientali con le categorie dell'Europa occidentale, dove parole come "sovranità" e "nazionalismo" sono al massimo utilizzate o per evocare la democrazia ("sovranità") o per evocare spauracchi dal passato ("nazionalismo"), mentre invece nel resto del mondo, e in particolare nell'area considerata, contano ancora moltissimo.
    Allego a titolo d'esempio un articolo di media qualità, ma redatto da uno che almeno sa di che cosa parla...

    Le isole del tesoro
    Cina/Giappone, 27/08/2012

    Da Guangzhou - Da disputa simbolica e dormiente per anni, la contesa sino-giapponese per il controllo delle Diaoyu/Senkaku si è riaccesa assumendo toni quantomai accesi dopo le vicissitudini legate allo sbarco nel piccolo arcipelago di flottiglie di attivisti di Tokyo e di Hong Kong poi. Non è però solo la simbologia a dominare lo scontro diplomatico, l'arcipelago della discordia sembra infatti nascondere un tesoro energetico preziosissimo costituito da ingenti riserve di gas naturale

    IL PASSO FALSO – Ripercorrendo la cronaca recente di una disputa in realtà decennale, è il Sol Levante a nutrire i sentimenti più combattivi nei confronti di quella che considera come "un'estensione naturale della prefettura di Okinawa," come si evince dalle parole di Shintaro Ishihara, governatore di quest'ultima. Già nell'aprile di quest'anno, al momento del suo insediamento Ishihara aveva gettato benzina sul fuoco latente affermando di essere pronto ad usare finanze pubbliche per acquistare i lotti di terreno delle isole appartenenti a privati cittadini giapponesi. La mossa sembrava in realtà parte di una campagna post-elettorale volta ad assicurarsi il più largo consenso possibile in vista dei primi scogli al governo della regione.


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    LA VERSIONE DI PECHINO – Da parte sua la Cina considera le Diaoyu come parte di quel territorio nazionale intoccabile da cui solo dopo il 1949 è stato possibile scacciare la tanto odiata presenza straniera. A differenza delle enclavi occidentali Hong Kong e Macau, ora regioni speciali sotto la RPC, le Diaoyu hanno assunto un carattere particolare legandosi alla sempre viva rivalità tra i due paesi simbolo dell'Asia orientale, Cina e Giappone. Non è un caso dunque che nonostante le differenze di vedute che permangono tra Hong Kong e Pechino, siano stati proprio degli attivisti dell'ex dominio britannico a tenere alta la bandiera rossa a 5 stelle nel corso delle recenti vicissitudini. Non c'è da stupirsi allora, se anche il neo-eletto premier di Taiwan, Ma Ying-jeou, si sia mosso tramite il suo portavoce per gli affari esteri per riconfermare l'appartenenza delle Diaoyu al territorio della repubblica cinese, comunque la si consideri.


    IL NEMICO DEL TUO NEMICO - Ricapitolando, la partita delle Diaoyu/Senkaku si gioca su tre scacchiere: lo scontro perenne tra Pechino e Tokyo, la tensione latente tra Pechino e Taipei e i rapporti ondivaghi tra i due alleati americani nell'Asia Pacific, Taiwan e ovviamente il Giappone. Ma le pedine rischiano di confondersi tra le "mille sfumature di grigio" che portano dal bianco al nero se si considera che il neo-eletto Ma Ying-jeou è stato definito dalla stampa internazionale come l'uomo di Pechino, non appena candidatosi alla guida del Kuomintang. Proprio l'erede di Chiang Khai Shek, di cui però non sembra condividere le posizioni irremovibili, sarebbe pronto a rimettere la questione dell'arcipelago nelle braccia della giustizia internazionale, sotto l'egida della CGI. Tuttavia, e qui gli amici del diritto internazionale possono fregarsi le mani, l'art. 34.1 dello statuto della CGI prevede che solo gli "stati" possono essere considerati parti del trattato.


    GUERRA DI CORSA? - Negli ultimi tempi la marina cinese si è fatta sentire in maniera decisa nelle acque del Mar Cinese Meridionale e Orientale, giungendo fino allo scontro diretto con navi da combattimento delle Filippine nell'ormai tristemente famosa disputa della secca di Scarborough. E non sono solo le Filippine a pagare la preponderanza cinese tra i flutti del Pacifico, visto che anche il Vietnam ha dovuto desistere dal compiere atti spettacolari nel corso dell'annus horribilis per la disputa sulle isole Spratly e Paracel. Proprio la presenza dell'ombra del gigante cinese è il motivo principale per cui l'ultimo summit dell'ASEAN, l'organizzazione regionale che riunisce i paesi del Sud-Est Asiatico, si è chiuso per la prima volta senza un comunicato condiviso.

    L'AMICIZIA PAGA – Apertosi con la grande ambizione di trasformare l'ASEAN in un organizzazione vicina simbolicamente all'Unione Europea, il meeting a cavallo tra giugno e luglio si è trasformaìto in una vera gara di ostruzionismo, con la Cambogia, presidente di turno, pronta a bloccare qualsiasi documento ufficiale che deprecasse la condotta della marina cinese nei confronti di Manila. Nemmeno i buoni auspici dell'Indonesia, assurta a mediatore del contrasto, hanno avuto la meglio contro il muro opposto da Phnom Penh alla bellezza di ben 18 bozze di dichiarazione. Sarà per il legame storico che lega i due stati, o per il fatto che Pechino vanti un credito informale di 10 miliardi di dollari nei confronti della culla di Pol Pot, ma sembra che Cambogia e Laos abbiano ormai iniziato a costituire un blocco compatto a difesa delle tematiche d'interesse cinese.


    BEWARE OF MYANMAR – Una volta entrati in contatto con il clima particolare delle frizioni del Sud Est Asiatico, risulta facile leggere tutte le questioni aperte nello scacchiere della regione. Cambogia e Laos dirottano vertiginosamente verso la Cina? Toccherà allora agli Stati Uniti e ai loro proxies nella regione aprire le porte alla primavera birmana, se così si possono chiamare le lievi riforme introdotte dal regime di Thein Sein. In realtà il tutto può sembrare una semplificazione quasi infantile, ma è proprio quello che sta accadendo, la Birmania, sbocco naturale verso l'Oceano per le merci cinesi a basso costo prodotte nello Yunnan e nel Sichuan orientale, sta giocando la partita dell'apertura sul tavolo dell'occidente, che muore dalla voglia di ottenere un altro avamposto lungo le frontiere interne cinesi.


    BASTA METTERE A FUOCO – Nonostante agli spettatori del Grande Gioco orientale la disputa intorno alle Diaoyu/Senkaku possa sembrare complicata se non difficile da decifrare, basta semplicemente ridurre l'ingrandimento sul piccolo arcipelago, inserendo l'intera regione nell'orizzonte, per ottenere il giusto grado di comprensione della vicenda. Resta naturalmente impossibile ignorare il linguaggio simbolico-nazionalista che si rifà ad anni e anni d'insofferenza e ai trascorsi storici dell'area. Se è vero che in questo spicchio di pianeta "sovranità e nazionalismo" sono ancora parole di senso compiuto, bisogna anche sottolineare che i due concetti non vengono mai spesi pubblicamente per mere ragioni legate al soft-power, ma solo per giustificare agli occhi delle "masse" giochi di potere altrimenti incomprensibili.



    Fabio Stella
    [email protected]

    www.ilcaffegeopolitico.net/central_content.asp?pID=1213
     
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  3. kroth
     
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    bè parlando da profano dell'argomento penso che in ordine di giustizia dovrebbero andare alla cina visto che sono state di suo dominio per circa 400 anni no? poi logico che il discorso in sè è molto più comlicato, ma daltronde rischiare di iniziare una guerra per colpa di un territorio che per di più non porta benefici di grande rilevanza( a meno che non ci sia qualcosa sotto o non ci siano da ambetre le parti motivi turistici per avere quelle isole) non penso che sia una scelta appropriata:)

    cmq complimenti per le notizie amici siete davvero esperti e molto bravi:)
     
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2 replies since 11/9/2012, 16:08   213 views
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