Filosofia Zen

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  1. hanon87
     
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    ZEN E PENSIERO ORIENTALE



    Non uscendo dalla porta si conosce il mondo. Non guardando dalla finestra si scorge la via del cielo.(Lao Tzu)

    Nel corso della storia si è constatato che la mente dell'uomo è capace di due tipi di conoscenza; la prima modalità è quella razionale, tenuta in grande considerazione dall'occidente; la seconda è quell'intuitiva che, in genere, è esattamente l'opposto, ed è confacente all'atteggiamento orientale. La conoscenza razionale appartiene al campo della scienza e dell'intelletto, la cui funzione è quella di analizzare, discriminare, dividere, confrontare, misurare e ordinare in categorie.

    La conoscenza razionale è un sistema di concetti astratti e di simboli; in questo modo si considera l'ambiente naturale come se fosse costituito da parti separate, e si costruisce una mappa intellettuale della realtà, nella quale le cose sono ridotte ai loro contorni.

    Il pensiero orientale, e più generalmente il pensiero mistico, forniscono alle teorie della scienza contemporanea un importante e coerente riferimento filosofico: una concezione del mondo, nella quale i due temi fondamentali sono l'unità e l'interdipendenza di tutti i fenomeni, e considera l'uomo come parte integrante di questo sistema. Ciò che interessa ai mistici orientali è la ricerca di una esperienza diretta della realtà, che trascenda non solo il pensiero intellettuale, ma anche la percezione sensoriale. La conoscenza che deriva da un'esperienza di questo tipo viene chiamata dai buddisti "conoscenza assoluta", perché non si basa su discriminazioni, astrazioni, e classificazioni dell'intelletto, le quali sono sempre relative e approssimate. Essa è come dicono i Buddisti, l'esperienza diretta dell'essenza assoluta, indifferenziata, indivisa, indeterminata.

    La conoscenza assoluta è, quindi, un'esperienza della realtà totalmente non intellettuale, un'esperienza che nasce da uno stato di coscienza non ordinario, che può essere chiamato uno stato meditativo, o mistico. E' la realtà della vita del Sé, che vive solo così com'è, la nuda esperienza della vita (quel soltanto essere vivo ora). Il Sé non è superficiale: è la pienezza della gioia.

    Essere consapevoli del Sé significa essere gioiosi.

    "Cosa fa un Buddha sotto l'albero del Bodhi? Non fa nulla. Si limita ad essere". Egli è colmo di un'insondabile gioia, perché ora non rimane nulla da raggiungere. Nel proprio essere si scopre che qualsiasi cosa degna di essere raggiunta esiste già. Il semplice accadere della vita, l'espirare e l'inspirare, il semplice pulsare della vita, è beatitudine. Non ha nulla a cui pensare, non pensa alla famiglia, né pensa al futuro, è semplicemente immerso nella beatitudine - il giusto modo di essere - non vi è passato, né futuro.

    Non sta andando da nessuna parte, il cuore batte, il respiro entra ed esce, il sangue circola semplicemente esiste, tutto è vivo e pulsante. Un'energia priva di scopo, che fluisce senza meta, che fluisce ovunque; ma che non va da nessuna parte. Fluisce verso il nulla. L'estasi non è una meta. E', qui e ora, proprio nel movimento; è felice di per sé, proprio nella pulsazione dell'essere vivo.

    Lo zen- che ebbe origine in seno al Buddhismo, ma fu fortemente influenzato dal Taoismo - si vanta di essere senza parole, senza spiegazioni, senza istruzioni, senza conoscenza. Esso si concentra quasi interamente sull'esperienza di illuminazione (satori), ed essa non consiste nel fare qualcosa, o nell'ottenere qualcosa; ma, semplicemente, nel riconoscere quello che è sempre esistito di fatto, e si interessa solo marginalmente di interpretare questa esperienza.

    A causa dell'educazione e del condizionamento ambientale, il funzionamento delle nostre menti è legato a un sistema particolare di logica, formato da concetti, e ogni cosa viene considerata attraverso un sistema di opposti: buono cattivo, bianco o nero, giusto o errato. A causa di questo modo di giudicare non possiamo raggiungere le unità attraverso la molteplicità. Lo scopo dello Zen è quello di andare al di là dei legami della dualità, rinunciare a tutti i concetti creati dall'intelletto e vedere le cose come realmente sono, per mezzo della introspezione intuitiva. Poiché il flusso della mente non può essere fermato mediante uno sforzo egocentrico di volontà, quello che si richiede, momento per momento, è la osservazione continua delle dualità, della tendenza continua del nostro io, delle tendenze che costituiscono i nostri pensieri, i nostri sentimenti, il nostro corpo.

    In tutto il misticismo orientale, l'intelletto è visto soltanto come un mezzo per aprire la strada all'esperienza mistica diretta, che i Buddhisti chiamano "risveglio". Lo zen insegna che il risveglio (satori) attraverso la meditazione è al termine della attesa-attenzione, che deve essere una vigilanza senza oggetto. Non c'è nulla da attendere, infatti; ciò che succede, succede. Non esistono leggi regole e scopi, né in natura né nei pensieri. Riacquistare la spontaneità della nostra natura originaria, la natura di Budda di tutte le cose, richiede un lungo percorso e costituisce una grande conquista spirituale. Attraverso la meditazione si può fare l'esperienza di sentire la nostra natura originaria.

    Il programma basico dello Zen è quello di calmare la mente e il corpo, in un primo tempo, mediante la pratica della meditazione, con lo scopo di arrivare ad una visione interiore. Zazen (meditazione seduta), seduti con le gambe incrociate, la schiena dritta, la respirazione calma, il corpo e lo spirito unificati, senza spirito avido. Girando il proprio sguardo verso l'interno, ciascuno depone naturalmente i limiti dell'egoismo e fa direttamente l'esperienza del risveglio alla sua vera natura. La base della filosofia Zen è il silenzio, è il Ku (il silenzio totale), che è la condizione originaria della natura umana. Praticare aldilà di ogni oggetto è lo zazen più elevato; soltanto sedersi senza scopo. Durante zazen non si pensa; anche se il subconscio si manifesta, si lascia passare, non si ferma il pensiero, non si trattiene. In questo modo la coscienza diventa illimitata, infinita.

    E' la coscienza cosmica (la cosmicità è la natura intrinseca della mente). Il metodo Zen, questo tipo di approccio alla realtà, è un metodo prescentifico, o metascentifico, o perfino antiscentifico. In questo modo, lo Zen si immerge nella fonte della creatività e beve ad essa tutta la vita che contiene. Tale fonte è l'inconscio dello Zen. L'inconscio è fuori dall'ambito della ricerca scientifica, l'inconscio si può solo sentire, e non nel senso comune del termine; pertanto, bisogna imparare a padroneggiare le vie dell'inconscio e la saggezza sconosciuta del Sé. Ciò che esiste nel centro interiore è aldilà di ogni spiegazione. Viceversa la scienza inizia là dove comincia la spiegazione, all'esterno; è una ricerca sulla circonferenza, nell'ambiente dell'uomo. Di solito la consapevolezza scientifica è oggettiva: conosci gli altri, conosci il mondo, conosci le stelle.

    Nel momento, però, in cui la consapevolezza si rivolge all'interno e inizia a conoscere se stessa; in altre parole, nel momento in cui la consapevolezza diventa oggetto della propria conoscenza l'illuminazione fiorisce. D'ora in poi la consapevolezza sarà il padrone e l'inconsapevolezza il servitore. La porta della verità non è, né il centro, né la circonferenza - che sono in realtà due facce di una sola e unica verità, ma uno stato in cui colui che vede e la cosa vista, l'osservatore e la cosa osservata, si uniscono. Solo l'uomo libero da opinioni e da idee preconcette può vedere l'unità e l'integrità della vita.

    Scoprire il proprio inconscio non è un atto intellettuale, ma un'esperienza affettiva che non può essere spiegata a parole.

    L'intelletto, in ultima analisi, è superficiale; è qualcosa che fluttua alla superficie della coscienza, e la superficie si deve spaccare perché possa raggiungere l'inconscio cosmico; lo spirito logico deve dissolversi progressivamente per consentire al pensiero translogico ed unificatore dello Zen di emergere. Una volta che tale livello sia raggiunto, la comune coscienza viene pervasa dal flusso dell'inconscio; è questo, appunto, il momento in cui lo spirito finito comprende di avere le proprie radici nell'infinito. La presa immediata e piena sul mondo è proprio la finalità dello Zen, è l'autentico risveglio (farsi consapevoli) che si trova alla radice insieme del pensiero creativo intellettuale, e dell'immediata apprensione intuitiva, equivale al superamento della contaminazione affettiva e della manipolazione cerebrale; equivale alla scomparsa della polarità conscio e inconscio. Significa non avere nulla ed essere.

    Il seguace Zen consegue, qui, il suo oggetto, perché è giunto a destinazione; egli è adesso pervenuto nel cuore delle dualità e include in sé tutto ciò che vi è di intellettuale, di affettivo, o creativo in modo indiscriminato, indifferenziato o meglio assoluto. Le sue attività non sono cambiate, ciò che è cambiato è la sua soggettività. La mia esperienza personale della consapevolezza nella vita di tutti i giorni, è quella di perderla facilmente, continuamente, in ogni momento. Mi capita a volte di perdermi nelle reazioni, o mi isolo da ciò che accade. Ogni giorno, infinite volte perdo la consapevolezza; spesso cado vittima della "tigre della mente". Purtroppo le pressioni, le tensioni e la frenesia della vita non sono certo condizioni ideali per la consapevolezza. Tuttavia non appena riconosco di averla smarrita posso ricominciare d'accapo.

    Si affaccia, così, un Sé semplice, basato sul respiro, capace di arrendersi al momento presente. Ecco, quanto voglio sottolineare come esperienza personale; nel momento in cui riconosco di aver smarrito la consapevolezza, l'ho già riconquistata, perché quel riconoscimento stesso è una funzione della consapevolezza. La consapevolezza infatti non è qualcosa di astratto o lontano: per ognuno di noi prende vita nel momento in cui iniziamo, e ogni volta che ricominciamo. Essere consapevoli, svegli, ricordarsi di Sé, osservare, non farsi travolgere dal chiacchiericcio della mente, questo è il potere della consapevolezza, essere attenti e presenti con equilibrio, serenità e comprensione, sia che l'esperienza sia piacevole, spiacevole, o neutra. Restare un semplice testimone indifferente.

    Quando siamo presenti, osserviamo con la visione meditativa, con un'attenzione profonda e penetrante, caratterizzata dall'assenza di superficialità, e sappiamo incontrare direttamente ciò che accade nel nostro mondo (la nuda realtà), con apertura, sensibilità, lucidità. Quando accendiamo la luce dell'attenzione saggia, possiamo vedere con chiarezza, comprendiamo che non dobbiamo fare neppure un passo in nessuna direzione, per ritrovare il nostro posto dove possiamo essere a nostro agio; è proprio qui, dove ci troviamo ora. Di solito, manchiamo d'intuizione e di una chiara visione, perché siamo prigionieri dei nostri condizionamenti. La realtà è già presente in noi; ma, per la nostra cecità, essa ci sfugge completamente. In un certo senso sperimentiamo qualcosa di continuo, ma siamo scarsamente in contatto con le nostre esperienze, solo a metà svegli di fronte alla realtà.

    In questo senso possiamo dire che non sperimentiamo veramente. Per la Gestalt la vera esperienza è terapeutica, o correttiva di per sé; è quel punto al di là delle tecniche, come realtà-consapevolezza-responsabilità. Un momento di veglia, un momento di contatto con la realtà è quello in cui i fantasmi dei nostri sogni a occhi aperti possono venire riconosciuti per quello che sono, è un momento di addestramento all'esperienza, attraverso il quale possiamo imparare, ad esempio, che non c'è nulla da temere, o che la soddisfazione di essere vivi supera la sofferenza o la perdita che avremmo voluto evitare col nostro dormiveglia. Colui che ha sviluppato la stimolazione dall'interno, può ricongiungersi, così, ai suoi sensi ed entrare in contatto con la propria esperienza, ridestandosi e tornando alla realtà nuda della vita che è "il Sé in Sé per Sé", il Sé che fa se stesso in Sé stesso, qualunque cosa capiti.

    Questa è la vera dimensione spirituale, quel punto in cui non si è più diretti dall'io, ma da una coscienza non dualista; non c'è più nessuno che pensa: "tu giungi senza alcun concetto di giungere e vedi senza alcun concetto di vedere". Finche' non avremo superato il dualismo, non conosceremo la libertà definitiva (l'ultima realtà). Realizzare questa profonda comprensione di sé stessi è la fonte della vera saggezza; l'autentica saggezza risiede nell'osservazione e nella conoscenza di se stessi. Il punto di vista della terapia gestaltica, su questo come su altri temi, è che la consapevolezza è abbastanza, tenendo bene a mente la distinzione tra essere aperti all'esperienza e fabbricare esperienze. Infatti le azioni che derivano dall'esperienza e la esprimono non sono tese a produrre un effetto.

    Le azioni che affermano la vita, piuttosto che negarla; che rivelano, piuttosto che nascondere, che esprimono piuttosto che reprimere, sono in un certo senso non azioni. L'azione, infatti, contrariamente alla manipolazione (di se stessi, o degli altri), viene sperimentata come fluente dall'interno, invece che compiuta per andare incontro a modelli estrinseci. Per finire, voglio dire che la consapevolezza è il nostro vero Sé: è ciò che siamo. Perciò, in un certo senso, non c'è bisogno di sviluppare la consapevolezza: basta rendersi conto di come la blocchiamo con pensieri, fantasie, opinioni e giudizi.

    Stare semplicemente nell'istante; fare una cosa alla volta e consegnarci totalmente a essa è il modo più efficiente di vivere; è essere semplicemente qui, vivere la nostra vita. "Niente di speciale". La vita è così com'è, il lavoro è così com'è, il mondo è così com'è, e forse, se sappiamo accettarlo così com'è, ci sveglieremo al suo significato.

    In ogni situazione, che gli altri ci osservino o no, dovremmo essere consapevoli di ciò che avviene in noi e stare in guardia contro la trascuratezza e la disattenzione. Così, non nuoceremo agli altri. La meta è sviluppare gradualmente la consapevolezza, e attivare quella compassione e gentilezza amorevole che già sono in noi. E questo è alla portata di tutti.




    IL GIARDINO ZEN





    "Né un fiore, né un'ombra
    Dov'è l'uomo?
    Nel trasporto di rocce,
    nella traccia del rastrello,
    nel lavoro della scrittura"
    Poesia Zen




    Il giardino fu, per lungo tempo, nella tradizione Zen del Giappone, un centro di espressione e di culto della bellezza essenziale, quella del pensiero intuitivo, spesso simbolizzata da pietre levigate poste fra cespugli quasi fiori silenziosi, dall’aspetto metallizzato, scivolante, sottile, pregno di significati e testimoni di lunghe contemplazioni . Il giardino Zen è una forma continuamente variabile, che si trasforma quotidianamente, che segue e riflette il costante mutamento dell’universo, creando uno spazio di pace tranquilla, di silenzio arcano e di grande armonia. Il giardino Zen crea un senso di tranquillità, immobilità e calma; la mente può espandersi e liberare l' immaginazione. Fra i vari stili il più semplice e tradizionale è quello definito Karesansui, molto legato al Feng Shui e all’arte del giardinaggio cinese tradizionale. Il giardino Zen (in stile Karesansui) è composto da 2 elementi :
    * grani di sabbia bianca rastrellata che rappresentano l'oceano
    * pietre e rocce che rappresentano le montagne e gli animali marini sacri

    Il giardino "Karesansui", detto anche giardino giapponese in stile "paesaggio secco" esiste da molti secoli. È nel sesto secolo d.C., con l' avvento del Buddhismo Zen che il " giardino" ha cominciato ad evolversi. Innanzitutto sono stati creati paesaggi con dimensioni maggiori per permetterne l'accesso all'interno, così da passeggiare e meditare senza rimanere all'esterno, sui bordi come nei primi Karesansui. I sacerdoti Zen hanno adottato poi il " Karesansui " assegnando alla sua costruzione uno scopo differente: aiutare alla comprensione più profonda dello Zen e dei suoi concetti. I principi base che oggi ci vengono tramandati risalgono al tardo 1200 e sono quelli che hanno creato i " kansho-niwa " o giardini della contemplazione dei più recenti sacerdoti Zen . Per costruire un autentico giardino Karensansui occorre tenere presente alcune regole. Aggiungere un elemento o modificate l'orientamento della sabbia in grani e' un'importante occasione per rilassarsi e meditare, pensando alla tranquillità e alla vastità dell'oceano. Il giardino Zen può essere creato ovunque, in piccoli spazi o in più ampie aree che aiutano a drenare il vostro giardino di casa. I due elementi principali sono rocce per formare isole montuose e sabbia speciale per creare le onde e le correnti del mare. La sabbia utilizzata non è quella delle spiagge bensì granito o marmo schiacciato e di tonalità uniformi: bianco, bianco sporco, beige, di circa 2 millimetri di diametro.

    Non vanno utilizzati grani multicolori. Il granito bianco e uniforme crea la giusta atmosfera e illumina con il proprio riflesso anche le aree vicine. Vanno scelte molto accuratamente le rocce da posizionare nel giardino Zen. Le isole sono il fulcro della meditazione e ciò che rappresentano riveste una particolare importanza per lo Zen . Le isole rappresentano l'immortalità, la longevità e la salute. Molti giapponesi hanno nei loro giardini singole rocce che rappresentano le immutabili montagne e anche gruppi di rocce a forma di testuggini e gru : due simboli importanti di longevità. Dopo aver posizionato le rocce secondo la propria sensibilità, occorre rastrellate la graniglia di sabbia in modo continuo senza mai fermare il "rastrello". Lo stesso deve essere sempre spinto in avanti e mai tirato indietro. Si dovranno creare percorsi visivi unifomi e senza interruzion,i che percorrono per la sua lunghezza il giardino e ruotano armoniosamente intorno alle isole . Spesso vengono aggiunti dei ponticelli che simboleggiano il passaggio attraverso il mare per raggiungere un punto di vista alternativo che altrimenti non sarebbe visibile. E' un modo diverso per medi

    tare, contemplare la vita e i suoi misteri, che si ottiene solo se si attraversa quel ponte. L’attraversamento è di buon auspicio all’inizio delle diverse stagioni, per operare profondi cambiamenti, secondo un’idea originaria della Cina classica . In alcuni casi vengono aggiunti ornamenti monocromatici come rocce contenenti acqua la cui funzione e' quella di creare nuovi punti di contemplazione e un maggior senso di profondità del paesaggio. Vediamo di seguito il significato di alcuni ornamenti del giardino ed altri consigli utili (derivanti dal Feng Shui cinese) .

    * Piccole fontanelle e stagni nel giardino portano grandissima fortuna economica se sistemati negli angoli a nord o a sud-est.
    * Se si hanno ruscelli o stagni d'acqua davanti a casa dovrebbero essere a sinistra guardando fuori dalla porta d'ingresso. Così è assicurata la stabilità di coppia. Se l'acqua e' invece a destra, il marito probabilmente guarderà con interesse le altre donne. Occorre però ricordare di non

    esagerare con bacini d’acqua : troppa acqua fa versare lacrime.
    * Qualsiasi vialetto conduca alla vostra porta d'ingresso dovrebbe fare alcune curve, rallentando così il Ki e ricavandone fortuna.
    * Non lasciate che l'ingresso della vostra casa si affacci su una strada dritta. Bloccate l'energia negativa che ne deriva con un gruppo d'alberi, una staccionata di legno, una siepe
    * Nel retro della casa dovrebbero esserci alberi e una collinetta. Si godrà così della protezione della tartaruga celeste.
    * Se il terreno intorno a casa è ondulato/mosso, ospita i draghi portafortuna . Se e' piatto e privo di movimento allora non c'è' alcun drago e la terra e' meno fortunata .
    * I pendii e le colline devono essere dolci , non ripide; solo così il Ki che affluisce è benigno e carico di prosperità. Mai costruite la casa sul cucuzzolo di una collina, scegliere invece la mezzacosta, in modo da non avere forti venti che portano i fattori climatici perversi.
    * Le piante sono di ottimo auspicio, il legno significa crescita e sviluppo specialmente se posto a est, sud-est e sud. Gli alberi non devono sopraffare però la casa ed esser quindi potati regolarmente.
    * Occorre non posizionare piante appuntite e cespugli spinosi vicino a casa, eliminate l'acqua stagnante , le foglie o le piante secche poichè sono tutti elementi portatori di energia Inn negativa.



    In conclusione il giardino Zen (come gli antichi giardini di Creta, come quelli pensili di Babilonia, come il “sito degli aranci”- detti, appunto, giardini-dei siciliani) ci aiuta a guardare; il giardino ci segna i viali, l’erbe mediche, le gramigne . Gli occhi dello Zen ci sono strumenti per comprendere le stagioni delle erbe, la maturazione dei frutti, il gesto consapevole della raccolta, la responsabile azione del dare, l’espansione della coscienza di compassione . Vogliamo concludere questo breve excursus con una storia Zen . Un monaco Zen viveva solitario sulla cima di una collina dove aveva trasformato l’esiguo spazio intorno alla sua capanna in un giardino di crisantemi. Ogni giorno all’alba e al calar del sole incrociava le gambe in zazen e dialogava con i fiori da mente a mente. La sua mente e quella dei crisantemi . Un giorno l’anziana donna del villaggio in basso che gli arrancava il cibo delle offerte gli chiese con curiosità e irritazione perché al posto di inutili fiori non coltivasse cavoli e carote. Il monaco non rispose. Guardava le api che ciondolavano da un fiore all’altro. Poi si chinò verso il più vicino dei crisantemi, lo raccolse e, con un ampio sorriso di felicità, l’ offrì alla vecchia contadina che si vide svelato il segreto dello Zen.




    Edited by ^ June ^ - 8/6/2008, 11:43
     
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21 replies since 4/6/2008, 20:36   6022 views
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